In un momento come questo, privo di contatto umano, le capacità empatiche di ciascun professionista sanitario diventano ancora più importanti. Dobbiamo riuscire a tranquillizzare i nostri pazienti senza poterli incoraggiare con un sorriso, spiegare l’esecuzione di un test alzando la voce per farci sentire oltre la mascherina e la visiera.
La scorsa settimana, un bimbo di cinque anni mi ha confidato che “quando era piccolo” piangeva impaurito alla vista del camice, ma che durante il lockdown era diventato grande, non aveva più paura, solo che non capiva perché dovevamo mascherarci da atronauti… la mascherina sì, quella la capiva, serviva per combattere il virus, ma perché dovevamo indossare anche quella lastra di plastica sulla faccia? La visiera proprio non gli piaceva.
Confrontandomi con alcuni colleghi ortottisti, ho potuto constatare che le difficoltà emerse, dal lockdown ad oggi, sono più o meno le stesse per tutti. L’interruzione delle attività e gli appuntamenti disdetti per paura del contagio hanno comportato purtroppo in molti casi una discontinua presa in carico del paziente. La didattica a distanza ha causato un significativo aumento delle miopie e delle esotropie acute, ha fatto emergere una dilagante computer vision syndrome, e, in molti casi, ha comportato un’interruzione del trattamento occlusivo fondamentale nella gestione dell’ambliopia.
In questo scenario complesso, l’ortottista ha continuato e continua a lavorare utilizzando tutte le misure di sicurezza necessarie per la prevenzione e il controllo delle infezioni, reinventando la propria pratica clinica ed utilizzando sempre strategie che facciano vivere la valutazione ortottica come un momento sereno, che possa sembrare un gioco per i più piccoli. A giudicare dalle testimonianze raccolte, la valutazione dedicata ai bambini è stata arricchita ancor di più di entusiasmo e fantasia.
Per scongelare il muro della paura, amplificato dalla consapevolezza di avere un nemico invisibile contro cui lottare, molti colleghi hanno provato ad avvicinarsi ai piccoli pazienti utilizzando più fantasia del solito. Ed ecco che le stecche prismatiche di Berens si sono trasformate in bacchette magiche, l’esame dell’acuità visiva è diventata un’entusiasmante gara a punti tra i due occhi, la motilità oculare si è trasformata in un gioco in cui il bimbo deve acchiappare con gli occhi il target… Ogni test, è diventato un momento valutativo arricchito di qualcosa in più, che in molti casi c’era già prima del lockdown ma che in quest’occasione piena di grigiore è stata potenziata di colore.
Anche negli adulti in smart-working, costretti a passare molte ore davanti al computer, è stato registrato un aumento dei disturbi astenopeici e degli strabismi acuti. Nella valutazione del paziente adulto, gli ortottisti hanno continuato a far fronte a numerose difficoltà legate all’appannamento degli occhiali: misurare un angolo in tutte le posizioni di sguardo o eseguire una prova prismi per la diplopia con gli occhiali che si appannano è complicato e spesso, se i pazienti sono molto anziani, chiedono di togliere la mascherina per ovviare al problema. Soprattutto per loro, in questo momento di chiusura è fondamentale riuscire a leggere, a guardare la tv, a svolgere in autonomia tutte le piccole azioni quotidiane nella propria abitazione.
Ormai ad ogni età, per colpa della mascherina, gli occhi restano l’unico messaggero in grado di esprimere le emozioni che non possiamo più comunicare con il resto del volto. Con gli occhi sorridiamo, piangiamo, parliamo, condividiamo e abbracciamo. Non resta che spannare le lenti degli occhiali per continuare a mostrare un grande sorriso pieno di iridi dal colore diverso.