Fu il professor Mauro Montesi a introdurre nel 1974 il primo corso in podologia e poi a fondare l’Associazione Italiana Podologia. «Ma in Italia siamo ancora molto indietro rispetto all’estero» sottolinea Montesi. Ponti (Presidente CdA): «Se oggi i podologi hanno degli Albi e un Ordine è anche grazie al suo impegno»
«Il podologo è una garanzia per il cittadino e, con la sua opera di prevenzione, fa risparmiare il Servizio sanitario nazionale. Basti pensare che noi ogni anno abbiamo 6700 amputazioni l’anno in soggetti diabetici. Occorre potenziare l’assistenza sul territorio e convenzionare gli studi di podologia per fare prevenzione». Parola di Mauro Montesi, storico fondatore dell’Associazione Italiana Podologi AIP nel lontano 1974 e tra i principali fautori dell’introduzione della Podologia in Italia. Montesi è il protagonista della nuova videointervista dell’Ordine TSRM e PSTRP di Roma e Provincia insieme al Presidente della Commissione d’Albo dei Podologi di Roma Valerio Ponti. «Oggi siamo ancora indietro con la podologia: negli Stati Uniti il podoiatra ha un profilo molto avanzato, basta dire che fa l’anestesia locale e gli interventi chirurgici del piede» spiega Montesi che ripercorre la “lunga marcia della podologia” in Italia, a partire dal primo corso in podologia organizzato dalla Regione Lazio presso l’Ospedale S. Camillo nel lontano 1974. «Ci è sembrato doveroso dare spazio nella nostra prima videointervista a chi, come il professor Montesi, ha dato un contributo decisivo all’introduzione della podologia in Italia. Se oggi i podologi hanno degli Albi e un Ordine è anche grazie al suo impegno e a quello dell’AIP da lui fondata» sottolinea Ponti.
Professor Montesi, lei è una vera istituzione per la podologia. Com’è nata l’intuizione di istituire questa disciplina?
«In Italia c’era il testo unico delle leggi sanitarie del 1928 che prevedeva solo cinque figure nell’ambito sanitario e per quanto riguarda la podologia era inesistente. IO nel 1966 feci un corso in Spagna, dove anche là la podologia non era assurta al ruolo attuale, e questi corsi si facevano nell’ambito della scuola di ortopedia. Fu a Madrid. Vedendo quelli che potevano essere i primi passi mi attivai qui in Italia. Nel passaggio di poteri dallo Stato alle regioni riuscii a far inserire nell’ambito della formazione regionale il termine podologo. Lo scrissero anche male: ‘podologico’. Da là è cominciato tutto il cammino storico che ci ha portato agli Albi. Nell’ambito del passaggio del potere dallo Stato alle regioni partimmo col primo corso di podologia in Italia che nacque all’Ospedale San Camillo di Roma con l’allora direttore sanitario Guzzanti della durata di due anni. Dopo fondai l’Associazione Italiana Podologia da cui è cominciato tutto un cammino».
Che differenza c’è tra gli altri paesi e l’Italia sulla podologia?
«C’è un abisso. Se parliamo degli Stati Uniti il podoiatra ha un profilo molto avanzato, basta dire che fa l’anestesia locale, fa gli interventi chirurgici del piede per non parlare della vicina Spagna che ha un corso di laurea in podologia che è molto avanzato. Noi siamo indietro almeno di un secolo. I cittadini così non hanno le cure appropriate. Anche l’SSN ne paga le conseguenze perché un cittadino che ha un problema al piede spesso ricorre al Pronto Soccorso».
Tra i tanti passaggi normativi sulla figura del podologo qual è stato quello più significativo?
«Nel 1988 quando il Ministro Donat Cattin presentò il profilo che riguardava l’infermiere e lo psicologo inserì anche il podologo. Però io sapendo come vanno le cose nel nostro paese mi attivai subito per far fare una legge regionale che riguardava il podologo. Infatti il decreto venne annullato. Fortuna che nel Lazio esisteva questa legge e quindi non è stato possibile annullare la formazione nel Lazio. Dopo abbiamo iniziato con altre scuole sempre in ambito regionale e poi si è passati nel 1994 all’ambito universitario».
Da quando ha fondato l’AIP ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi c’è un Albo, un Ordine. È un punto di arrivo o un nuovo inizio?
«Io direi che è un nuovo inizio perché significa raccogliere il testimone di quanto è stato fatto fino ad oggi e cercare di raggiungere i livelli che la sanitò richiede. Oggi con l’Ordine l’abusivismo viene annullato. In questo credo che il fatto di aver raggiunto un Ordine e far parte di una famiglia ordinistica ci pone in una situazione più serena anche a livello della tutela della salute dei cittadini. Io sto seguendo con apprensione l’emergenza Covid nelle RSA. Ho fatto diverse denunce alle RSA perché alcune strutture fanno affluire nell’ambito dell’assistenza ai ricoverati l’estetista e il pedicure, un atto abusivo. Per questo ho elaborato un progetto per l’assistenza nelle RSA di cui la Regione Lazio dovrebbe far tesoro».
Quali possono essere i passaggi per poter allineare il profilo a quelli più avanzati in Europa?
«C’è una proposta di legge che feci presentare dall’onorevole Mandelli, Il Presidente della FOFI, che giace in Parlamento. Basterebbe approvare questa legge per mettere in sinergia i podologi italiani con i paesi europei. È una garanzia per il cittadino e risparmia il servizio sanitario nazionale. Io sono molto legato ai pazienti diabetici: noi abbiamo 6700 amputazioni l’anno in soggetti diabetici. Occorre l’assistenza sul territorio, convenzionare gli studi di podologia per fare prevenzione. I nostri colleghi americani ci dicono che si eviterebbero la metà delle amputazioni, oltre ai costi: un’amputazione costa di intervento 9mila euro, poi l’invalidità civile e la mortificazione del paziente. Manca la medicina sul territorio. Ho fatto un progetto in questo senso del rapporto che c’è tra MMG e l’ambulatorio di podologia sul territorio. Lei consideri che circa 8mila persone al giorno, dato in difetto, si rivolgono alle cure del podologo sul territorio nazionale. Quanto potrebbe fare il podologo per dare informazioni utili al Sistema sanitario».