I TSRM E IL COVID19 COME UN ‘TABOO’

I TSRM E IL COVID19 COME UN ‘TABOO’

Taboo è il gioco di società in cui il giocatore deve far indovinare una parola al compagno di squadra, senza usare le parole, dette “taboo” per l’appunto, indicate sulla sua carta da gioco, estratta a sorte dal mazzo. Il giorno maledetto in cui il mondo intero ha scoperto il Covid-19, tutto ad un tratto, è diventato il tabellone di un atroce gioco perverso, in cui il modo di comunicare ed interagire non sono più quelli che conoscevamo e, proprio come nel gioco originale, abbiamo dovuto reinventare schemi di vita diversi e nuovi modelli di collaborazione.

Arrivato strisciando velocemente in ogni angolo del pianeta, il Covid19, dal nome che sembra un’edizione limitata, non ha chiesto ad alcuno di voler partecipare, non ha dato libretto di istruzioni e soprattutto non ha dato indicazioni sulla durata. Le regole sono arrivate attraverso Decreti, che hanno limitato vita privata e professionale.

IL RUOLO DEL TSRM

I Tecnici di Radiologia (TSRM), spesso confusi con altri professionisti della sanità o, peggio misconosciuti dalle istituzioni, sono stati, paradossalmente, reclutati fra i primi partecipanti; hanno dovuto mettere al servizio della comunità, ancora una volta, la propria professione, ma questa volta, con vincoli che destabilizzano e pericoli inevitabili.

“Evitare il contatto e mantenere la distanza di sicurezza”: tra i tanti dettami per contenere il virus nemico che il tecnico di radiologia ha dovuto riportare nella propria quotidianità lavorativa, questi suonano ancora come taboo insuperabili. Posizionare una donna che deve fare la mammografia, non toccandola o mantenendo la distanza di un metro; un paziente che deve fare risonanza magnetica al quale si deve mettere una bobina; e quel paziente, nel suo letto di degenza, a casa o in un reparto d’ospedale, mettergli la cassetta radiografica sotto il torace: ognuno di loro ha bisogno di quell’esame, si affida al professionista tecnico di radiologia, ed il professionista è chiamato a fare tutto questo con un ulteriore vincolo: ridurre il tempo da dedicare a quel paziente, da breve ad essenziale.

Un professionista vero ha un’unica scelta: non arrendersi! Se si arrende, perde; se perde, perdono loro. Il “gioco” perverso non concede pause e non dà sostituzioni: il tecnico di radiologia deve mantenere la distanza minima per eseguire quell’esame, ma…per proteggere sé stesso e il paziente lava le mani, indossa i guanti, il camice, la mascherina e va avanti.

“Eseguire esami indispensabili per la diagnosi in pazienti con sospetto o Covid accertato, senza contagiarsi, senza contagiare colleghi, familiari” non è affatto un gioco. In gioco, semmai, c’è la sopravvivenza di tutti. Lottare contro un avversario invisibile, che può nascondersi sulle superfici, sulle consolle di lavoro, sulle apparecchiature, fa paura. Ma, quella TC del torace è necessaria, bisogna dare risposte a quesiti importanti per la vita di un essere umano ed il Tecnico di Radiologia sa che se si arrende, perde; se perde, perdono tutti. Allora, bisogna prendere coraggio, eseguire procedure di vestizione e svestizione, con molta attenzione, perché, togliendo in modo scorretto un dispositivo di protezione inquinato, ci si può contagiare.

LA SFIDA DEL COVID19

Si possono dividere i compiti con un altro collega Tecnico, in modo che uno possa eseguire l’esame alla consolle, in un ambiente “pulito” e l’altro, dentro la sala diagnostica, faccia il lavoro “sporco” che però non è parlare con il paziente, posizionarlo e, se intubato, contribuire, con l’infermiere e gli altri medici, alla sua movimentazione.

Dopo la sanificazione degli ambienti, alla fine di un esame, il professionista deve continuare ancora, dopotutto, a respirare, anche con tutta quella roba addosso, con quegli occhiali e quella mascherina che aderiscono al viso, così tanto da lasciare segni evidenti.

 Taboo dopo taboo, come cittadini del mondo, ci stiamo accorgendo che l’aspetto più paradossale di questo assurdo meccanismo è nel suo essere sovrapponibile ad un gioco di società in cui si mina proprio tutto ciò che è alla base di una società: i rapporti umani.

Come professionisti della salute, stiamo gridando ad alta voce che i TSRM non sono solo eroi, sono esseri umani, con le loro debolezze, le loro paure, i loro limiti. In prima linea, hanno dovuto prima imparare a convivere con tutto questo, poi, hanno dovuto capire che non devono solo vincere contro il Covid.

La sfida vera, il taboo più importante da evitare è dimenticare che di fronte a loro c’è un essere umano, compendio di emozioni, relazioni sociali e familiari; il taboo più pericoloso da evitare è vedere solo la malattia, la minaccia, guardare “l’altro” fosse il nemico. Tutti i giorni, come professionisti della salute, siamo chiamati a combattere questa battaglia, non è un gioco e noi non siamo pedine, usando le competenze professionali come scudo e le capacità relazionali e comunicative come armi.

Non è ancora finita, ma dobbiamo convincerci che si può, anzi si deve ancora sorridere, imparando a sorridere con gli occhi, dietro una mascherina, perché il Covid ci deve lasciare il valore dell’umanità e non la fine di essa, un nuovo senso di vicinanza, perché si può essere uniti contro un nemico comune, anche a distanza.